Review of Quite A Way Away [12k1070]

Ondarock (IT)

Piccoli squarci di poesia, (dis)avventure narrate in punta di dita, inquietudini pennellate con assoluta delicatezza di tratto su una tela bianca: bastano queste tre brevi immagini a delinare sommariamente il piccolo universo entro il quale si muove Gareth Dickson, sensibile chitarrista e compositore scozzese già intravisto a fianco di Vashti Bunyan nel suo tour di comeback nel 2005, nonché come collaboratore nello splendido (e invero sottovalutato) “Un día” di Juana Molina. Proprio l’Argentina, terra natia della musicista e patria acquisita per parecchi anni dell’autore, che vi si era trasferito per motivi sentimentali, rappresenta l’ispirazione principale sottesa alla realizzazione degli schizzi intimisti qui contenuti.

Un’Argentina rivista nei suoi paesaggi, nelle sue sterminate distese, ma anche nelle picaresche avventure che hanno contraddistinto la permanenza dell’autore, scampato quasi per miracolo a tre situazioni che avrebbero potuto costargli la vita. Un’Argentina quindi, rielaborata attraverso il setaccio delle emozioni, rivissuta nell’intimo della propria stanza, attraverso un tono, confidenziale e intenso allo stesso tempo, che più che aderire ad una scelta stilistica seguita da molti, diventa un manifesto di autonomia espressiva, come ben sottolineato anche dalle precedenti prove “The Dance” e “Collected Recordings”.

E’ con le vaporose tessiture strumentali del primo disco tra i due sommenzionati, che si riallacciano le evanescenti filigrane del nuovo lavoro, filigrane intrecciate col solo sostegno della chitarra acustica, ma che con l’accorto uso di riverberi, delay e spazi adatti approdano ad un’inconsueta versione di musica ambient. Questo è senz’altro il motivo, per cui il disco ha potuto trovare una lieta accomodazione nei ranghi della 12k, etichetta solitamente dedita alle più interessanti novità dal mondo dell’elettronica minimale.
Dando sfogo alla sua passione per il primo Aphex Twin e per la filosofia della musica d’ambiente (ancor prima che della sua diretta applicazione in forma sonora) di Brian Eno, Dickson non si limita però ad un semplice tributo, provando a scovarvi invece quanto di più adatto ai suoi scopi, e sfruttarlo nella composizione di un mondo riservato e individuale, ma tutt’altro che rannicchiato su se stesso.

Il picking sulla sei corde, elaborato e singolare (paragonabile per questi aspetti a quello di un altro chitarrista di formazione janschiana, Jens Carelius), rifiuta infatti triti canovacci cadenzati e si diverte a illustrare, con progressioni bizzarre e un particolare senso dell’armonia, suggestioni che più che essere esclusivamente auditive, puntano anche all’incanto visivo. Le sensuali carezze latine di “This Is The Kiss” e “Nunca Jamas”, cover del cantore argentino Atahualpa Yupanqui, il fibrillare delle corde in “Adrenaline”, il tremolare commosso di fughe come “Jonah” e “Get Together”, arridono a una sensibilità creativa, latamente cantautorale, che scopre la piena consapevolezza dei propri mezzi, bilanciando aspirazioni evocative e fluidità di scrittura, retta dagli sfumati sussurri di Gareth.
Ed è nella fragile soavità di questo sussurrare, talvolta bisbiglio sfumato talaltra narrazione ansiosa, che si svela la stoffa espressiva dei brani; brani che continuamente si intrufolano in ogni recesso della mente, riempiono di tensioni appena percettibili l’intera superficie a loro disposizione, e finiscono per rapire con la sola forza della loro semplicità, coinvolgendo in un abbraccio che porta impressi i colori di un’accorata nostalgia.

Alzando timidamente la testa, sottraendosi per un attimo al contegno assorto e introspettivo con cui impugna il suo strumento, Gareth Dickson sembrerebbe deciso a compiere il gran balzo verso l’ignoto.

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