Review of Northern [12k1037]

Vibes (IT)

Entrancing seasonal ambient

Un ritorno da tempo atteso quello di Taylor Deupree, pioniere del filone espressivo (non solo musicale) noto come “post-techno” operativo nel pieno della malia urbana par excellance -quella di Brooklyn- e da qualche mese trasferitosi nel più tranquillo entroterra dello stato di New York, che in parte ispira la “fotografia” di questo disco non propriamente estivo, ma che nella sua “asincronia” stagionale conserva un alto livello di suggestione per gli organi di senso. Come è intuibile, Northern è principalmente ispirato alla natura decadente invernale, in cui il senso del tempo attutito dalla staticità (apparente) dei suoi connotati fenomenici irrompe nelle placide textures, nei movimenti sotterranei, nel soffocato loop e nell’uso di certi effetti risultando in una drammatica fotografia delle transmutazioni circostanti. Il nuovo corso della musica di Taylor Deupree -da sempre caratterizzato da frequenti capitolazioni al classico incedere techno pur restando un elemento “accessorio” delle sue strutture sonore- procede di pari passo con la sua declinazione per la fotografia, il cui soggetto è la natura colta nella sua “staticità” (se non può parlarsi di natura morte, si può certamente richiamare la stessa natura in uno stato agonizzante…). Che non sia solo un documento di “fotografia sonora”, lo si evince non solo dal fatto che non si ricorre alla field recording, ma anche da un dato “personale” -che avvicina il disco a certi episodi intimisti dell’elettronica più recente (Marsen Jules, Janek Schaefer)-, che ancora queste sonorità alle memorie di Taylor, il quale ha esplicitamente dedicato questo disco ad un amico dell’adolescenza (un certo Bryan Charles Striniste), con cui cominciò a sperimentare nel vasto territorio della musica elettronica circa 20 anni fa.

Northern si può dividere idealmente in due parti. Nella prima Mr. Deupree insiste su elementi che in parte già caratterizzavano i suoi più recenti lavori da solista, in particolare le sottili transizioni dei textures dall'”organico” all’artificiale: udibile loop quasi impercettibile di pianoforte, che vengono posti strato su strato su sinusoidi, che sembrano disegnare anelli nello spazio uditivo dell’ascoltatore, mentre altri elementi sonori sembrano voler descrivere le altre “presenze” del paesaggio circostante. Nella seconda Taylor sembra inserire un idea di movimento, nonostante il setting rimanga tutt’altro che concitato: qualche tonalità bassa e l’intervento di gorgoglii strumentali (notevole quello della chitarra in “Haze It May Be”) bastano a raggiungere lo scopo. Il sound oltre che rarefatto e “circolare” si fa progressivamente ipnotico; pregevole il livello della sperimentazione, che sarà apprezzato da quanti prediligono questo aspetto di un disco. Aspetto che Taylor non ha mai nascosto di voler perseguire, il fatto di non ritenere di dover “campare” di musica (visto che trae remunerazione principalmente dalla sua attività di grafica), consente a Mr.Deupree di avere ampia libertà di movimento sul piano espressivo – si potrebbe anche in questo caso insistere sull’importanza del fatto di non dover trarre sostentamento dalla musica nonchè della scelta di “autoprodursi” (la 12k è di proprietà di Taylor…)-. Ad integrale beneficio di chi apprezza questo tipo di ricerca…

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