Sands (IT)
“Non è possibile. Lasciare una casa per un’altra, è triste come se avessero ucciso qualcuno” (Agota Kristof).
Kirschner & Deupree ammazzano sempre qualcosa di retrostante, talvolta d’invisibile: c’è a chi piace! Spazio-animale, insidiosamente provocato per affluvio di spostamenti di materia, di stanze dentro stanzoni dentro case: pianerottili ridondanti, affreschi di accumulazioni endemiche, pagine bianche infinitamente imbrattate di niente e sullo sfondo vetrate di metropoli in bilico sul ghiaccio. Post_Piano 2 è un piccolo attraversamento interminabile di stazioni nervose incessanti spinte dentro il mondo psichico della disperazione totale prodottasi tramite sintesi genetiche, offuscati contrappunti esoterici, linee di broken piano. L’indagine sonora è una caduta che viene sempre dopo la ricerca dell’origine. Blanchot lo sapeva bene quando affermava che: “Il ricordo è la libertà del passato, di ciò che non esiste più neppure come qualcosa che è stato: ciò che non ha mai avuto luogo, non ha mai avuto una prima volta, e tuttavia ricomincia, di nuovo e di nuovo, all’infinito. E’ senza fine, senza principio. E’ senza avvenire”. Cosa si trova in un piano reificato post-mortem dentro la sua caduta verticale se non la scoperta che il suono è sempre senza fine? Post_Piano, sta a non-più-piano, a ciò che consegue, dopo la musica, la concezione corporale e costituente della didascalia armonica. Dopo il piano, dopo le conseguenze di un piano, avviene ciò che c’era prima, prima che un piano riverberasse, prendesse allusivamente corpo, s’inclinasse nella direzione della nota, del senso. Questo declino della caduta inizia come Amleto e finisce come Re Lear: una corporizzazione nerastra, intrisa di sonno, appresa dentro rive semplici ma piene di macerie, di svasamenti, di richiami sbaragliati: in sé si riflette l’incompiutezza stellare di quei cieli che mentre li osservi già cadono, tutti ricurvi, penzolanti, che sembrano mari capovolti. Un piano capovolto, come quello di questo ‘secondo’ Post_Piano, è un cielo placato, uno specchio di cielo netto e placato, dove l’elettronica, figlia davvero di nessuno, figlia solo della sua intraprendente intemperanza, smanetta derive ammorbanti, intrise di oscurità, di tensione oscura. Post_Piano è un lavoro fatto di conoscenza negativa, la sua irrimediabile necessità si riflette nel suo tempo capovolto, smerigliato dalle logiche geometriche della logica, finalmente gettato dentro il suo absconditus, ma ripresentato fin dentro l’espressione metaindividuale di un traguardo che somiglia a quei serpenti di Zarathustra, a quei fenomeni circolari che hanno il pregio di proseguire fin dentro linee accomodanti percorsi impossibili. A Topanga, nel 1938, vi fu un incendio; ne ho una foto davanti. Si vede qualcosa che non somiglia più a sé stessa, e somiglia espressamente a quelle case incendiate e poi lasciate, in previsione di altre case da abitare. Nell’incendio ogni cosa che viene bruciata perde totalmente la sua fattura, ma dopo il fuoco, lascia forse ancora più forza ed attività nel dare alla terra ciò che proveniva dalla terra. Post_Piano 2 ha le medesime incrinature di un incendio autorevole; mantiene nelle sue coordinate che si allontanano mentre si delineano, la verticalità del fuoco e l’irruenza della notte. E di fronte alla sua lungimiranza al presente è un disco ferente come la morte di qualcuno che si ama.