Review of Interstices [12k2028]

Ondarock (IT)

Che l’era dei microsound fosse giunta al capolinea è dato ormai noto a chiunque abbia assistito alle metamorfosi di alcuni fra i suoi maggiori esponenti. Stephan Mathieu, Richard Chartier, Taylor Deupree: basterebbero questi tre nomi e il rispettivo abbraccio a tre diverse declinazioni dell’ambient music per descrivere la frontiera a cui quell’estetica ha finito per condurre.

Deupree, in particolare, ha agito nella direzione dei suoni organici pure per mezzo della sua etichetta, quella 12k che ad oggi non ha di fatto sbagliato nemmeno un’uscita e che è diventata un punto di riferimento per nomi nuovi e storici della musica atmosferica.

Dopo il capolavoro “Faint” – forse l’album ambientale più bello partorito in questo decennio, al tempo stesso moderno e legato alla tradizione – Taylor pare aver sviluppato una passione per una forma nuova, che abbraccia i microsound dal versante delle field recording, creando di fatto un punto d’incontro tra questi ultimi e l’universo dei suoni organici.

Esplicativa in tal senso è l’ultima doppietta firmata 12k: la collaborazione dello stesso Deupree con Seaworthy e il secondo lavoro di Illuha, creatura condivisa da pluri-impegnato giapponese Tomoyoshi Date e dal tedesco Corey Fuller. Un progetto delicato e intimo, per certi versi “minore” nelle carriere dei due, e rivolto a un target altrettanto ridotto e selezionato, come dimostrato dall’edizione di 500 copie con cui questo “Interstices”, secondo album dopo il buon “Shizuku” di due anni fa, viene dato alle stampe.

Tre suite dalla delicatezza e dal torpore accennato vanno a formare un autentico piccolo gioiello di delicatezza e grazia, ambientato in una natura incontaminata ma non per questo selvaggia o dissipata. I ventiquattro minuti di “Interstices II” iniziano con una pioggerella fugace cui poi si sovrappone una chitarra lontana, giocata su riverberi in crescendo fluttuante prima dell’ingresso del pianoforte che si intreccia nel finale ad arpeggi e crepitii.
La più breve “Interstices I” prende forma quasi esclusivamente da dialoghi di synth e microstrutture elettroniche, inframezzata da una poesia recitata in giapponese e registrata nel mezzo di una foresta fra lo scorrere di un ruscello e le foglie degli alberi mossi da un vento leggero. La distesa finale di “Intersices III” sfiora la mezz’ora cullando in una notte stellata nel mezzo di un bosco fra bagliori sintetici, echi lontane e gracili rintocchi.

“Interstices” inquadra il linguaggio musicale della natura descrivendone le componenti poetiche e organiche, segnando l’ennesimo vertice per i nuovi suoni di casa 12k. Laddove l’ultimo, eccellente Chris Watson ne riproduceva i suoni lasciando che fossero essi stessi ad evocare le immagini – correndo l’inevitabile rischio di restringere ulteriormente la cerchia di pubblico in grado di saper sfruttare tale documento – gli Illuha si confermano fra i più abili interpreti dello stesso in musica, questa volta nel senso più stretto e tradizionale del termine.

Se la capacità di evocare può continuare a essere considerata – anche a discapito del rinnovamento – il parametro più importante per giudicare la materia ambientale, siamo qui di fronte a un gioiello di purezza e a un act dal talento e dalla classe sopraffina. Che entra oggi, con pieno diritto, fra le punte di diamante del suggestivo catalogo 12k.

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