Ondarock (It)
Quello di Janek Schaefer presso 12k è un approdo tardivo quanto coerente. Il suo non è certo un nome particolarmente noto ai non appassionati di elettronica sperimentale, ma basta uno sguardo alla voce “collaborazioni” del suo curriculum per comprendere quanto vasta, variegata e prestigiosa sia la sua esperienza artistica: Stephan Mathieu, Pan American, Philip Jeck e Charlemagne Palestine sono i primi quattro nomi a risaltare in progressione temporale.
Andando oltre e approfondendo la sua biografia, si scoprirebbe un artista dall’anima poliedrica, una di quelle personalità che non si limitano a usare il multimediale in un ambito astratto, ma che amano legarvi significati concreti anche e soprattutto collegando le proprie opere all’attualità e alla “denuncia” sociale. Non di certo il “solito sound designer”, insomma, e questo “Lay-By Lullaby” sta a dimostrarlo, nonostante si tratti della meno eccentrica ed eclettica fra le opere pubblicate a suo nome.
Il concept risale al 2013, quando dopo il clamore suscitato tre anni prima fra gli addetti ai lavori con “Asleep At The Wheel…” – installazione in cui si scagliava contro chi vive “con la testa fra le nuvole” – l’inglese aveva tentato di “redimersi” attraverso la performance “Collecting Connections”, un elogio al fantasticare, al “sognare ad occhi aperti”, di cui la composizione qui rielaborata nasce come commento sonoro.
Il comun denominatore sta in una serie di field recording effettuate da Schaefer presso l’autostrada M3, e più precisamente nei pressi dell’ex-abitazione di James Graham Ballard, da sempre suo mentore artistico. Se per Brian Eno l’aeroporto era l’ambiente perfetto a farsi tutt’uno con la musica, l’autostrada per Schaefer è l’ubicazione della musica stessa, la sede di un viaggio che è interiore (avviene dentro sé stessi, nel cervello) quanto esteriore (ad occhi aperti, dunque influenzato dalle visioni provenienti dall’esterno).
Ciascuna field recording è una sorta di sipario fra una sequenza sonora e l’altra: dodici pièce ambientali dalla sublime delicatezza, che giocano con classe sul concetto di sfumatura (da qualche anno parola d’ordine del catalogo 12k) e si innestano in una sequenza di loop che di Eno ricorda le ultime prove (su tutte il capolavoro “Lux”). A sequenze di droni dilatati e fuori da qualsiasi spazio fisico che rimarcano la vicinanza al mondo abstract (“Radio 101 FM”, “Radio 106 FM” e “Radio 111 FM”) si alternano frammenti la cui purezza si sposa a fenomenali trovate melodiche (l’unisono di “Radio 103 FM”, l’alba limpida di “Radio 105 FM”, il trionfo di “Radio 107 FM” e i bagliori in mutazione di “Radio 109 FM”) che dalle lezioni di Marsen Jules e del maestro Taylor Deupree attingono a piene mani. Le singole tracce sono in realtà intese come “trasmissioni” sulle diverse frequenze dell’autoradio che le riproduceva nel contesto dell’installazione.
All’ascolto si tratta dunque di autentici collage, dalle fattezze e dalla durata variabili, di brevi squarci intervallati all’ “inquinamento acustico controllato” delle registrazioni. Così, inquietudini sbiadite precedono un carillon di arpa e piano in “Radio 110 FM”, scie astrali sono spazzate via per far spazio a intermittenze di synth e glaciazioni fra Celer e Irisarri in “Radio 102 FM” e accenni di ritmi vitali convivono con una progressione struggente in “Radio 104 FM”. La sola “Radio 112 FM” conclude su una progressione tutta centrata sul brusio grigio e inquinato, infine sconfitto da un’esplosione di blande tinte naturali. Una conciliazione fra sogno e realtà che riscrive nel suo piccolo quei dogmi che da anni monopolizzano la sonorizzazione del concetto di sogno stesso. Di sicuro una delle vette ambientali dell’anno, l’ennesima a firma 12k.