Review of The Endless Change Of Colour [12k1074]

Ondarock (IT)

Già attivo con i suoi molteplici alter-ego, quali Falter, Krill-Minima e altri, Martin “Marsen Jules” Juhls dà prova di ottima competenza in ambito microtonale con dischi come “Yara”, “Les Fleurs”, “Golden” e “Nostalgia”. “The Endless Change of Colour”, suo picco d’ambizione con cui supera il suo precedente opus, è uno di quei lavori altamente evocativi, anche se succede quasi nulla. In questa pièce di 47 minuti, gli eventi come da titolo sono cromatici e stanno al di sotto, subliminali e sottili, spostando al ralenti il centro tonale, come se prendessero a esplorare allo sfinimento un frammento di un poema ambientale di Brian Eno.

L’inizio è aurorale e sospensivo, quasi un attacco d’asma dell’armonia, ma mantiene un esilissimo senso di ritmo vibrante, continuamente sfasato dai cristalli elettronici. Non vi è alcuna evoluzione in senso convenzionale, solo un gioco al ribasso che tiene stabili tutte le variabili (anche se mutano di continuo come in un’elica biochimica). Una volta “impostati” i rudimenti d’ascolto, l’opera mostra la sua vera impalcatura, una versione onirica del “Music for 18 Musicians” di Steve Reich, con cui condivide lo stesso denominatore del pulsare “a staffetta”, con continui de-phasing di tono, radiazione e intensità, e ancor più subliminale al limite dell’allucinazione uditiva. Negli ultimi 10 minuti Marsen Jules si fa leggermente prendere la mano dal sensazionalismo, aggiungendo uno strato di bruma elettronica che suona forse un po’ artefatto, ma che nondimeno rende anche un senso di composizione all’insieme.

Generato da un vecchio disco jazz non meglio precisato, poi riprocessato, filtrato e “splittato” in tre flussi con fare Klaus Schulze-iano. Ne è risultato un poeme electronique ampio, placido, tutto giocato sulle sfumature invisibili e retto da una forma d’estasi fascinosamente criptica, quasi allegorica. Disponibile anche in download digitale (formato lossless Flac).

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