Ondarock (IT)
L’attivià del compositore Kenneth Kirschner è dedita a un ambient minimale, che spinge una volta di più gli standard imposti dal Brian Eno di <i>Music For Airports</i>. Le sue piéce colossali sono costruite attorno a pochissimi elementi, in alcuni casi a un paio di spunti microscopici, ma portati a ripetersi ed espandersi subconsciamente per decine di minuti. Il suo ultimo lavoro è un triplo cd che annovera appena quattro componimenti, e ancor meno suoni.
Brani come “September 25, 2010” (quarantasette minuti), nel secondo cd, si ergono su note tenute, pause – anche di dieci-venti secondi – e droni microscopici, in una serie infinita di variazioni sul silenzio (non un vero e proprio dialogo). “January 18, 2011” (51:18) è un’altra bestia, una serie immane di cavatine per piano preparato – sdoppiato in più livelli sovrapposti – mutate e assemblate in mostro metafisico. L’uso delle pause qui diventa interferenza molesta, causale; la post-produzione le fa diventare snervanti dilatandone la tensione. Soprattutto, diventano parte del discorso nel loro interferire anche con i livelli dinamici di suono, asportando porzioni di spettro armonico, o riverbero, o abissando la qualità del suono.
Persino fuori posto è “January 4, 2011”, che al contrario delle altre piéce dura “solo” ventitre minuti e suona assordante e densa di figure ritmiche, una versione scombussolata delia “In C” di Terry Riley.
Ennesimo e più esoso lavoro di uno scultore del suono che dal 2002 compone, o meglio assembla, riprocessa e impianta, musica infinitesimale su formati oceanici. Ha scelto il formato triplo e riconfermato i titoli che riportano la data dell’ispirazione del brano – a concepire la propria carriera come un diano acustico – per stimolarsi a produrre un poema sull’osservazione passiva, una prova d’orchestra per microrganismi ricreati in laboratorio, una forma nichilista di drone music. Allungata la lista degli album-tipo per il prossimo secolo.