Blow Up (IT)
Per Aristotele il colore è una delle qualitè. Tra le dieci categorie — piccolo ripasso — una ha, per così dire, il primato, ed è la sostanza. Le altre nove infatti (tra cui la qualità) si possono predicare solo di “sostanze” ossia di cose che esistono e a cui si riferiscono. Sono, insomma, degli accidenti. La mutevolezza dei colori, a cui accenna il titolo del cd di Marsen Jules, potrebbe inserirsi bene in questo discorso, se non fosse che la quaiità del suono (non nel senso di valore, di bellezza o bruttezza, ma di consistenza) sembra più “sostanziale” che “accidentale”. Il flusso sonoro, ora più pulsante, ora più quieto, giocato su minime variazioni cangianti, in cui si alternano frequenze più basse e frequenze più alte, sembra come un mare apparentemente sempre uguale ma sempre diverso (come l’acqua del fiume di Eraclito), inafferrabile eppure presente e realissimo. Nella sua consistenza non offre piglio. Manca di scabrosità: è come una sostanza nuda che potesse offrirsi senza dover astrarre dagli accidenti. Sembra un incrocio tra ta Radigue e “2OO1: Odissea nello spazio”. Da ascoltare a basso volume, per passare dall’ambiente esteriore suggerito dalla musica a un ascolto interiore. Un esercizio di concentrazione, che si sofferma sulla superficie, sviscerandone qualità sostanziali. Molto bello l’artbook, essenziale ed evocativo insieme, come una parete di vetri con riflessi cangianti. Minimale e metafisico. Detto questo può essere utile sapere che Marsen Jules è in realtà Martin Juhls, compositore tedesco le cui coordinate di riferimento sono Steve Reich, Brian Eno e Arvo Pärt e che è attivo pure con un progetto di elettronica e ambient-dub (Krill). <i>The endless change of colour</i> è costruito su un frammento di un vecchio disco jazz scomposto in tre flussi trasformati a loro volta in ioop, in cui il suono è trasformato ulteriormente in pure onde, generativo di toni e armoniche. Girolamo Dal Maso